Sono ritornata dalle vacanze con la speranza che le cose dentro di me potessero cambiare. Distrarmi, riposarmi, fare lunghe passeggiate non sono servite a niente. Pensavo che quella voglia irrefrenabile di mangiare dipendesse dallo stress e dal lavoro, ma contino a mangiare troppo. Sono aumentata di dieci chili e tutto mi va stretto, non oso andare a comprarmi abiti più larghi perché non accetto tutto questo. Dentro di me, ora, non sento lo stress, non sono così stanca, e la mia famiglia la vivo con serenità, ma allora perché mangio troppo? Quale potrebbe essere la causa? Ho 37 anni e una volta avevo un bel fisico, non che ora sia da buttare, ma i contorni del mio corpo lasciano un po’ a desiderare. Pesavo cinquanta chili ed ora sono sui sessanta. Penso che ormai stia invecchiando e che, forse, questi sono i segni dell’inizio della vecchiaia. Le mie amiche mi vedono in forma, ma sono anni che non oso mettermi in costume, mi vergognerei troppo, scoprirebbero i mille difetti che nascondo abbastanza bene. Se solo riuscissi a mangiare di meno! Da cosa può dipendere visto che non sono, poi, così stressata? Dicono che le tensioni spingono a mangiare per scaricare l’ansia, ma nel mio caso? Le sarei molto grata se mi  potesse aiutare a capire questa situazione, e se c’è un rimedio a questo.

                                                                                                                                 RENZA

 

Mangiare è un bisogno primario. E’ l’istinto di sopravvivenza. E’ l’aspetto più significativo della vita. A volte, però, non è dettato dalla necessità di sopravvivenza, ma da abitudini sbagliate; oppure, è legato alla socializzazione, alle ricorrenze e alle festività. In quel caso, però, non va a soddisfare solo quell’istinto primario, ma va a consolidare le basi di una comunità civilizzata che, portando al suo interno una diversa espressione del cibo, va a creare nella mente umana significati diversi a seconda delle culture di appartenenza. Nel suo caso, signora Renza, il cibo può rappresentare semplicemente una abitudine ad ingerirne una certa quantità. Cerchi ogni giorno di diminuirne un po’, e abitui il suo stomaco ad altre dosi, e cerchi, di dargli altri input, scandendo degli orari ben precisi per creare nuove abitudine. Mangiare in continuazione per passare il tempo, può creare degli atteggiamenti involontari, di cui ce ne rendiamo conto solo dopo aver messo su alcuni chili. Tornare indietro non è poi così complicato. All’inizio dobbiamo creare abitudini contrarie con la volontà, fino a quando il tutto non rientra in una certa forma di automatismo. Il controllo del cibo può rappresentare il raggiungimento del suo obiettivo, visto che non ci sono stress da affrontare, ma abitudini da cambiare, senza escludere, se non ci riuscisse, una certa quantità di tensione legata al significato che lei gli può dare. Spesso, il cibo, rappresenta un premio, una coccola, un riempire un vuoto; va benissimo tutto questo, l’importante che non diventi l’unico premio o l’unica coccola, o l’unico modo per riempire certi vuoti. Se così fosse, allora dovrebbe domandarsi se chi le sta intorno le dedica la giusta attenzione e il giusto “nutrimento affettivo” di cui noi tutti non possiamo farne a meno. Nutrire affettivamente significa dare baci, abbracci, coccole e dire: Ti voglio bene, mentre  guardiamo la persona negli occhi come se fosse la prima volta, mi creda, proverà un’emozione molto appagante. Il tutto va fatto senza pretendere nulla in cambio, altrimenti ci becchiamo lo stress. Provi a dare nutrimento affettivo, perché non passerà molto tempo che anche gli altri glielo daranno, e quel minimo necessario le basterà per riuscire ad incanalare nuove abitudini alimentari.

Si parla di bullismo in continuazione, ma le soluzioni a questo problema non riescono a trovarle. Ho un bambino di 11 anni e quest’anno andrà in prima media. Lui è un bambino riservato, timido, ma con tanta voglia di sentirsi accettato dagli altri. Nella sua classe, l’anno scorso, è stato vittima di queste prepotenze, ma tutto sommato era qualcosa di molto circoscritto, le insegnanti erano riuscite a contenere questo disagio scolastico con interventi alle rispettive famiglie degli alunni, diciamo, così indisciplinati. Quest’anno ho paura per mio figlio perché in quella classe potrebbe incontrare ragazzi più grandi di lui, e avere disagi peggiori. La mia speranza è quella che vada in una classe “buona”, che non prendano il sopravvento su di lui, perché ha quel carattere un po’ chiuso, ma non per questo deve essere soggiogato o preso in giro. Perché queste persone, se così si possono chiamare, hanno di questi atteggiamenti aggressivi? Una volta sentii in tv che alcuni ragazzi avevano cercato di ammazzare di botte un loro compagno di classe se non gli avesse consegnato tutti i giorni la paghetta che il padre gli dava. Questi comportamenti di “prepotenza” che significato hanno? Perché questi ragazzi sono così cattivi? In alcune immagini viste in tv ho notato con quanta rabbia e aggressività fanno del male a chi credono più deboli di loro, in quel momento mi sale su tanta voglia di giustizia e di punizione verso quegli esseri indegni! La prego, dottoressa, mi dica cosa posso fare per aiutare mio figlio a difendersi da quelle persone. La ringrazio infinitamente.

 

                                                                                                                                          TINA

 

Il termine bullismo non ha ancora una definizione tecnica, giuridica e sociologica, ma è usato per indicare comportamenti violenti, vessatori e persecutori nei confronti dei cosiddetti deboli. Il termine deriva dall’inglese Bullying. In Scandinavia, dove hanno avuto inizio le primissime ricerche negli anni ’70, si usa il termine Mobbing. Qui in Italia, ci si riferisce, con mobbing, ai fenomeni di prevaricazione  verbale e psicologica, interni all’ambiente di lavoro e sarebbe, in un certo modo, una sorta di bullismo tra adulti. Nel bullismo l’atteggiamento dei genitori è decisivo, specialmente nell’infanzia, dove si creano i presupposti per i bulli adolescenti. Il bambino, all’interno della famiglia, deve imparare a gestire i sentimenti di rabbia e di ostilità, rapportandoli a se stesso in modo da non arrivare alla negazione dei problemi. Fin dalla prima infanzia si possono cogliere i primi segni di disagio che possono essere tradotti, poi, in prepotenza e aggressività. Ciò che il bambino, e poi l’adolescente, non riesce ad esprimere in casa lo riversa all’esterno sotto forma di arroganza e violenza, che non fanno altro che sottolineare la sua insicurezza e incapacità a reagire di fronte agli “insulti” ricevuti da parte dei suoi stessi genitori quando, puntandogli il dito contro, gli dicevano: tu non vai bene, devi cambiare, sei un buono a nulla, gli altri sono migliori di te, ecc. Questo, non fa altro che peggiorare il quadro di incertezza sulle proprie capacità e potenzialità costruttive. Nella mente di un bambino tutto ciò che proviene da un genitore e verità assoluta! Il bullo, quell’essere insicuro e sottomesso nella famiglia, cerca di guadagnarsi agli occhi degli “spettatori” quella specie di valorizzazione e accettazione attraverso la forza fisica: aggressione e prevaricazione, o attraverso l’attacco psicologico: esclusione di qualcuno dal gruppo, o attraverso atteggiamenti verbali sgradevoli: brutte parole, insulti e calunnie. Tutto questo, però, può essere messo in atto da parte del bambino e poi dall’adolescente, solo perché lui stesso è stato vessato e svalorizzato all’interno della sua famiglia. La reazione da “bullo” è una sorta di rivincita esterna, un modo di proiettare sull’altro le sue debolezze e incertezze, che vanno a sollecitare, poi, le sue ansie e paure spingendolo ad aggredire quel soggetto che gli fa vivere la sensazione di eliminare ciò gli sta dando fastidio. E’ difficile debellare il bullo, perché il bullo è il sintomo della famiglia. Non ne abbiano a male quei genitori che in questo modo si sentano presi in causa, perché dovrebbero fermarsi a pensare e a fare qualcosa per loro. Questo non è un problema dei figli, ma soprattutto dei genitori che, involontariamente, commettono degli errori. Signora Tina, il problema va affrontato all’interno della sua famiglia, si domandi perché suo figlio è timido e introverso, probabilmente non ha mai avuto l’occasione di poter esprime se stesso in maniera spontanea e senza la paura di sentirsi giudicato negativamente. Accetti suo figlio con amore, perché, come lei ha detto, ha tanta voglia di farsi accettare, e gli rinforzi la sua autostima stimandolo e valorizzandolo, la forza che ne deriverà farà sì che il bullo, non proiettando più su di lui i suoi stessi problemi, non lo considererà più idoneo al tentativo di liberarsi dalle sue stesse sofferenze interiori.

Ho letto un libro molto interessante, ma allo stesso tempo assurdo. Si descrive della nostra capacità a realizzare le cose grazie alla forza del nostro pensiero. Tutti possediamo queste capacità, solo che non le sappiamo utilizzare perché inconsapevoli. Questo libro spiega come fare a realizzare i nostri sogni e ad essere felici. Io credo che sia una specie di pubblicità ingannevole, ti fanno credere a qualcosa che non esiste. Mi piacerebbe che fosse vero per riuscire ad essere felice e realizzato. Il tutto, però, credo che sia solo una presa in giro. C’è scritto che basta pensare con molta intensità a quello che vogliamo e questo si realizza. Mi vergogno a dirlo, ma l’ho fatto; risultato? Non è successo nulla. Volevo una macchina decente per muovermi più tranquillo, ma nulla di tutto questo è accaduto. Mi sento un po’ ridicolo a scriverle di questo libro, perché a 45 anni non si può ancora credere alle favole! Sono un commesso, e mi spacco la schiena per guadagnare una somma appena sufficiente al fabbisogno della mia famiglia. Questo libro mi è sembrato una speranza, quando ho letto la copertina e  ciò che prometteva nel leggerlo, forse, era rivolto agli imbecilli come me. Forse, in ognuno di noi rimane quel bambino che crede alla magia come ad una specie di soluzione immediata ai propri problemi, ma mi sono accorto che la realtà è ben altra. Non c’è nulla di male se a volte ci lasciamo andare a queste cose, ma mi può spiegare perché certa gente volontariamente scrive cose assurde?

                                                                                                                            VITTORIO

 

Credo che non abbia letto bene il messaggio di quel libro. Non è semplice accettare che gli artefici della nostra vita siamo noi. Siamo abituati a proiettare fuori da noi tutto ciò che non ci piace o che ci fa soffrire, per appiccicare la colpa addosso a qualcuno. Prendersi la responsabilità delle proprie azioni non è esattamente quello che vogliamo, soprattutto quando ci insinuano il dubbio che il nostro benessere lo possiamo costruire così come stiamo già costruendo il malessere. Attribuiamo i cattivi eventi a forze maligne, mentre di quelli buoni ci prendiamo tutti i meriti. Riflettiamo su questo e cominciamo a ragionare: il nostro cervello produce elettricità, altrimenti non si potrebbe fare l’elettroencefalogramma, se questo è vero l’elettricità produce una forma di magnetismo che a sua volta produce una carica attrattiva. Il pensiero è costruito dal cervello attraverso le immagini immagazzinate, che a loro volta hanno bisogno di energia per essere prodotte, una volta innescato  il meccanismo tutto procede in automatismo e non ce ne accorgiamo più. Non ci accorgiamo se i nostri pensieri in un dato momento possono portarci benefici o no. Se, per esempio, diciamo che una determinata macchina non ce la possiamo permettere, succede che il nostro cervello non costruisce quella immagine, e tutto ciò che non appare come immagine, nella nostra mente, non esiste. Se ora dico Luna, la immaginate, ma prima questa immagine non l’avevate e quindi non esisteva la Luna in quel momento per voi. Certo, al di fuori, la luna continua ad esistere che la pensiate o no, come continua ad esistere la macchina  che la pensiate o no, con la differenza che la macchina se pensata, e quindi esistente, la posso attrarre a me. Si ricorda, Vittorio? L’elettricità del cervello produce magnetismo. Non ci sono magie, non sono cose assurde, sono tali se non le capiamo, se ci mancano gli strumenti per assemblare quel tipo di pensiero produttore di cose positive. Il libro, da lei letto, tenta di far trovare, dentro di lei, quegli strumenti che già possiede ma che non riesce proprio ad utilizzare. Lo rilegga con più attenzione, si accorgerà che il potere che possiede la sua mente non è fantascienza, ma scienza!

Avrei voluto avere, tanto, una famiglia tutta mia. Da quando mi sono sposata, per me, la vita è stata un inferno. Lui è un uomo cattivo, aggressivo, violento. Prima del matrimonio aveva alcuni atteggiamenti un po’ sospetti, ma mai avrei immaginato che arrivasse ad alzarmi le mani. Alcuni anni fa sono rimasta incinta, ma è stato un momento bruttissimo, perché, lui, non ha fatto altro che alzarmi le mani, perché non voleva il bambino, e dopo qualche mese, a causa sua, ho avuto un aborto spontaneo. Povero bimbo mio, a causa sua, non ha mai potuto conoscere la sua mamma! Odio quell’uomo, ma allo stesso tempo mi fa pena, ma quella pena che si può avere per quelle persone malate di mente; perché, penso che lui abbia, proprio, dei grossi problemi mentali. Io, gli ho sempre detto che se continuava così l’avrei lasciato, ma ho fatto anche di più, l’ho denunciato alla polizia quando ha tentato per l’ennesima volta di umiliarmi e di maltrattarmi con aggressioni sulla mia persona. Da quel giorno ha capito che non scherzavo e che faceva bene a starsene fermo con le mani, e che le problematiche con sua madre le avrebbe dovute scaricare addosso a qualcun’altra, o forse proprio su di lei come già alcune volte aveva fatto. Sì, ho assistito una volta ad loro furioso litigio in cui lui le diede un calcio sul sedere con molta violenza. Al solo pensiero rabbrividisco. Ora, per me, rimane, comunque, l’assassino di mio figlio, quel figlio che tanto avevo desiderato, e che purtroppo ha pagato con la vita l’egoismo infantile del padre. Ora, che non vivo più con lui, mi sento serena, ma quei momenti rimangono scolpiti nella mia mente, e quando a volte ci ripenso mi consolo pensando a quel bambino mai nato che da lassù proteggerà sempre la sua mamma da quell’essere infelice che purtroppo era suo padre. Vorrei avere una spiegazione, se è possibile, cosa può spingere un essere umano a tanto odio e aggressività?

                                                                                                                             VALERIA

 

Le persone violente, spesso, si nascondo dietro un’immagine di perbenismo. E’ un meccanismo di difesa quello di apparire per ciò che non si è. Queste persone sono coscienti del loro comportamento negativo, ma non possono farne a meno. Nascondono, anche, una sorta di invidia verso coloro che appaiono sereni e appagati nonostante le difficoltà della vita. Sono dei perdenti, e scaricano la loro rabbia verso chi credono più deboli e indifesi.  Quell’uomo, che purtroppo ha sposato, le ha fatto certamente del male, ma, mi creda, il male lo ha fatto soprattutto a se stesso, perché quell’atteggiamento di rabbia e di frustrazione se lo porta dentro lui, che certamente non gli darà pace. Sono persone che farebbero bene a starsene da soli, senza appiccicare addosso agli altri i loro problemi. I problemi che avrà avuto, e che ancor oggi ha con la madre, lo spingono ad aggredire e a svalorizzare chi lo circonda, perché questo atteggiamento lo ha con tutti, fingendo in alcune occasioni la parte della vittima. Spesso sono capaci di coinvolgere persone, per sostenere il loro atteggiamento di vittimismo, sono abili manipolatori, così come possono fare i bambini, e questo è sinonimo di immaturità. L’aver sperato di creare una famiglia, con quell’uomo, le ha provocato una grande delusione, ma non perda mai la speranza di creare quello che ha tentato di fare con lui, perché di uomini buoni e generosi ce ne sono davvero tanti. La pena che prova verso di lui la lasci da parte, ma cerchi di far valere i suoi diritti. A volte le persone aggressive, sono molte egoiste perché si portano dentro una grande insoddisfazione di fondo che gli deriva, in questo caso, dal forte conflitto con l’immagine materna, castrante e schiacciante allo stesso tempo, si sentono incapaci e svalorizzati, ed è per questo, poi, che vogliono sminuire l’immagine della donna, quasi come una sorta di rivincita. Purtroppo, i genitori possono creare grossi problemi psicologici nei figli, ma con questo non dico che debbano essere condannati, perché significa che anche loro sono carichi di problemi non risolti che riversano, poi, su di loro. Ora, non pensi più a quell’uomo, e così come ha detto, ha il suo piccolo angelo custode che la conforta, e che l’aiuterà  a realizzare il sogno di avere una famiglia tutta sua.

Cosa ci spinge verso una persona, e cosa ci fa allontanare? Sono molto curiosa di sapere perché esiste l’empatia o l’antipatia verso qualcuno. L’ho sentito per caso in una TV privata, ma non ho ben capito il concetto. Sono una ragazza di 35 anni e fino ad oggi non sono ancora riuscita a trovare l’anima gemella. Anche dire così, trovare l’anima gemella, in che cosa consiste? Perché siamo spinti a cercare persone che ci somigliano? Io, invece, vorrei trovare qualcuno che sia l’opposto di me. Penso che in questo modo, forse, potrei provare sensazioni forti e stimolanti. Io sono molto lenta e pigra e se ci fosse qualcuno a scuotermi, ne trarrei sicuramente un vantaggio. La mia amica del cuore si è già accasata, lei, si è accontentata del primo che le è capitato, mentre io vorrei che mi capitasse una storia davvero importante. Lei mi dice che se continuo a pensarla così rimarrò zitella. Ma, poi, perché questa parola viene vissuta, da chi la subisce, come una sorta di svalorizzazione? A volte ho litigato di brutto, perché la vivo come un insulto; è come se mi dicessero che nessuno mi ha voluta e che oramai è troppo tardi per rimediare. Lei, Dottoressa, pensa che sia questo il significato? Le sarei molto grata se mi aiutasse a capire.

                                                                                                                       FERNANDA

 

Spesso quando ci rapportiamo con gli altri andiamo alla ricerca di qualche nostra caratteristica: la sincerità o la spigliatezza, l’introversione o l’estroversione; oppure di qualcosa che abbiamo, ma che non riusciamo ad esternare; come, ad esempio, prendere iniziative stravaganti o fuori dal comune, noi non ci riusciamo e le viviamo attraverso il comportamento dell’altro. I trascinatori di massa sono un classico esempio di quanto la maggior parte della gente voglia dipendere e godere della riuscita dei pensieri e iniziative comuni. Si diventa leader, quando il soggetto riesce a penetrare nella mente degli altri che è già predisposta a questo richiamo. Essere attratti da un uomo o da una donna, può dipendere dal fatto che ella od egli, contengano un nostro desiderio più nascosto,  che va a suscitare, in noi, un irresistibile richiamo.  Ci si può innamorare di persone brutte, perché in esse si va a consumare un certo desiderio di “superiorità” verso l’esterno, ma sentire antipatia verso qualcuno, non è altro che un riconoscere alcune caratteristiche che ci appartengono e che non ci piacciono. Sono le stesse nostre caratteristiche che rifiutiamo e che non vogliamo riconoscere, e quindi non ci resta altro che allontanare da noi quella persona, con l’illusione di allontanare da noi quelle caratteristiche. Con l’empatia, invece, riconosciamo nell’altra persona alcune caratteristiche che ci appartengono e che ci piacciono, di conseguenza empatiziamo, ci mettiamo mentalmente al suo posto, cercando di avvicinarla e di aiutarla; è come se aiutassimo noi stessi. Diamo soddisfazione ad un nostro bisogno. Dire zitella o single, non sono la stessa cosa, perché la zitella rappresenta uno stile di vita totalmente diverso dalla single. La zitella non cerca alcun tipo di  rapporto con l’altro sesso, vive da sola perché soffoca ogni suo bisogno e, in alcuni casi, però, questo atteggiamento può sfociare in una vera e propria patologia, in fondo si tratta di un meccanismo di difesa! La single, invece, è una persona predisposta all’approccio con l’altro sesso e lo ricerca attivamente, non cerca il matrimonio a tutti i costi, ma sa aspettare; ed anche se non riesce nel  suo intento, comunque, vive la sua vita sia dal punto di vista sentimentale che da quello sessuale. Quindi, cara Fernanda, stia tranquilla a volte le amiche non sanno quello che dicono!

Vorrei una formula per risolvere i problemi. Detto così potrebbe sembrare una richiesta assurda, ma è proprio quello che sto cercando di fare da quando qualcuno mi ha detto che a tutto c’è rimedio tranne che alla morte. Io, avrei molti problemi da proporle, ma come lei ha scritto in un precedente articolo: non serve che si dica all’altro cosa fare, per quel problema, ma che egli stesso impari un modo per affrontare qualsiasi problema. Vorrei acquisire la capacità di risolvere i miei problemi da solo senza l’aiuto di nessuno, anche perché  prima o poi te lo rinfacciano. Le sarei molto grato se potesse aiutarmi in questo. Ho 39 anni e tanta voglia di vivere, ma a volte mi sento schiacciato dall’assurdo pensiero che i miei problemi siano irrisolvibili. La ringrazio con fiducia.

 

                                                                                                                              ACHILLE

 

Non esiste una formula per risolvere i problemi, ma con questo non voglio dirle che non esista un  metodo adattabile ad ogni problema. Dove c’è un problema esiste sempre una soluzione, basta solo seguire alla lettera quello che sto per consigliarle. Innanzitutto, per risolvere un problema bisogna riconoscerlo come tale. Intendo dire che a volte percepiamo i disagi del problema, ma non riusciamo ad individuarne le cause stesse solo perché ci può apparire faticosa la sua risoluzione o perché pensiamo che non esistano rimedi, per il semplice fatto che rimaniamo legati alla logica formale del nostro pensiero. Per risolvere un problema dobbiamo innanzitutto accettarlo come tale senza fuggire da esso, questo ci può permettere una sua analisi più profonda, individuando, così,  gli aspetti meno evidenti  che ci possono portare alla sua risoluzione. Quindi: focalizzi il problema, individui le cause, ma soprattutto non lo consideri simile agli altri, altrimenti si innesca la tendenza a ripetere in modo rigido e automatico gli stessi atteggiamenti non risolutivi. Ogni problema è a se stante, in quanto presenta ogni volta delle sfaccettature diverse perché nasce  in contesti diversi. E’ quasi come giocare a scacchi, cerchi di capire a fondo come “funzionano” le cose nel problema e cerchi di prevedere che cosa potrebbe accadere in seguito ad una determinata “mossa” che a suo giudizio potrebbe essere risolutiva. Cosa essenziale è vivere tutto questo con spirito competitivo, cercando di credere in ciò che si sta facendo e mettendo alla prova le idee risolutive, altrimenti non si potrà mai sapere se sono valide. Certo, c’è sempre un margine di rischio in tutto ciò che facciamo nella nostra vita, ma se così non fosse che vita sarebbe?

Si sente spesso parlare della felicità come a qualcosa di irraggiungibile, ma sarà vero? Forse già l’abbiamo e non ce ne accorgiamo. Allora leggete attentamente e riflettete con calma….

Tutti rincorriamo la felicità. I soldi sono al primo posto. Belle vacanze, viaggi interminabili, una bella macchina, una splendida casa, e già, sono grandi soddisfazioni! Si rincorre il denaro per una vita intera. Si vanno ad ascoltare quelle persone, pagando, che ti dicono come si fanno i soldi e che ti promettono la felicità che cercavi. Ma come si può essere così ingenui: per far soldi, ti dicono che prima li devi dare tu a loro, e poi? Poi, quei pochi che avevi non sono serviti a darti quello per cui gli hai spesi, rimani come prima, cioè, no, come prima no, perché ti sei “alleggerito” comprando un’illusione. E’ vero, i soldi sono la felicità! Ma allora perché tante persone con tanti soldi soffrono? Si uccidono? O si riducono in miseria? Cosa succede, allora, nella nostra mente? Viviamo nella nostra mente e non ce ne accorgiamo, e pensando di percepire la realtà reagiamo a quello in cui noi crediamo. Se crediamo in cose buone concretizzeremo il buono, altrimenti costruiremo solo cose negative anche se non le vogliamo. Chi promette di far cambiare indirizzo alla tua mente, non sa che la mente è governata dalle emozioni che ti porti dentro. Dunque è meglio, prima, fare una bella ripulitina, da quelle emozioni che ti fanno avere sempre gli stessi comportamenti davanti ad una situazione, facendoti rimanere incastrato, deluso ed arrabbiato. Pur avendo molti soldi, una bella casa, un’auto, possiamo rimanere insoddisfatti, esempio ne è il figlio di Agnelli che si suicidò anni fa. Tutti sappiamo che non gli mancava nulla dal punto di vista economico, ma, allora, perché l’ha fatto? Sono certa che avete già dato la risposta. Gli affetti non si comprano… I genitori sono fondamentali, per la vita di un bambino, dal punto di vista affettivo, essi rappresentano il massimo valore a cui rimaniamo legati per sempre. Sì, sembrerà assurdo, ma rimaniamo legati ai genitori per sempre. Ed ogni volta che li incontriamo, da adulti, il nostro comportamento diventa, affettivamente parlando, quello del bambino che eravamo tanti anni fa. E’ automatico, tanto che neanche ce ne accorgiamo. Dunque, mi sembra di intravedere, che la vera felicità è quella di sentirsi amati, ben voluti, rispettati e ricercati affettivamente. Dunque, possiamo dire che la vera felicità sia quella. Beh, credo che quella vera vera, sia l’unione delle due cose. Purtroppo è molto difficile che capiti, allora? Cosa scegliere? E non crediate che sia più facile raggiungere gli affetti dei soldi, perché, se ci pensate bene, è vero l’incontrario. Quindi dosiamo bene le cose: un po’ d’amore e un po’ di soldi, ben mescolati ed in giusta quantità, forse fanno la felicità. L’ingrediente da non dimenticare mai, però, è l’unione e la condivisione delle emozioni. Buona felicità a tutti!

Sono una donna che da tempo si è resa conto di non amare più il marito. Non ho figli, ancora, ma sicuramente da lui non ne voglio. Sto prendendo di nascosto la pillola, e non so come fare per venire fuori da questa situazione. Non riesco a confessargli che non lo amo più, e che sono innamorata di un altro. Se avessi un lavoro, forse, l’avrei già lasciato, ho paura per mio futuro perché so, che quando ci si separa tutto si complica, e  non avere un’indipendenza economica non è bello. Ho conosciuto la persona di cui mi sono innamorata cercando lavoro. Il caso ha voluto che ci incontrassimo in un’agenzia di lavoro, anche lui sta cercando lavoro, e abbiamo capito di avere molto in comune; anche lui si vuole separare dalla moglie e non sa come fare. Per il momento lavora come libero professionista e sta cercando un punto di appoggio più sicuro. La nostra storia va avanti da otto mesi, e per nascondere a mio marito questa situazione non so più cosa inventarmi. I momenti passati insieme a lui sono molto appaganti, mi fanno sentire importante e desiderata. Questa situazione, però, mi dà molti sensi di colpa, lui non si è accorto proprio di niente, ma come posso fare a confessargli tutto senza far scoppiare una tragedia?

                                                                                                                               SABINA

 

Quando pensava di essere innamorata di suo marito, sicuramente pensava che le fosse capitata la cosa più bella ed intrigante. Se si ferma un attimo a riflettere, forse, oggi, le è capitata la stessa cosa. Quella che percepisce, è una forma di entusiasmo che la spinge a viversi come un’eterna adolescente, che quasi sicuramente, ognuno di noi si porta dentro e che difficilmente vuole abbandonare. Il nascondere a suo marito una cosa così importante, la relega nella posizione di colei che non sa veramente quello che vuole. La pillola anticoncezionale, poi, che prende di nascosto, dimostra, appunto, quell’atteggiamento adolescenziale che la confina nell’angolo della sua indecisione. Lei, pensa che suo marito non si sia accorto di nulla, ma non è così. Sicuramente avrà percepito qualcosa, e, forse, aspetta solo una sua mossa chiarificatrice. Non tema di fargli del male   se gli confessa la situazione, perché è proprio con il silenzio che glielo sta facendo. Creare di questi problemi, pensando di risolverli, significa, solo, ingannare se stessi. I problemi vanno affrontati e risolti, il nasconderli porta ad ingigantirli e a crearne degli altri. Il pensare che il lavoro le risolverà la situazione, è un altro errore che la porterà a creare tensioni e allungare i tempi. Si guardi bene dentro, e si domandi cos’è che l’ha spinta a credere di non amare più suo marito, cos’è che di lui non le piace più; e si domandi se è la situazione proibitiva creata con il suo amante che la eccita, oppure ne è veramente innamorata. Si immagini, poi, una vita di routine familiare, con questa persona, e cerchi di percepirne la sensazione di ritorno, e la confronti con quello che sta provando ora. Se solo sente una nota stonata, dentro di lei, significa che sta creando un problema e non la soluzione al problema. Abbia il coraggio di guardare negli occhi suo marito, non importa se il cuore le batterà forte, non importa se si sentirà sotto accusa, e non importa se scoprirà, invece, di amarlo; l’importante è che lei, finalmente, sarà cresciuta!

Si sente spesso dire che bisogna essere sempre se stessi, ma come si fa a farlo? Io credo di non conoscermi affatto, perché ho sempre pensato che bisogna mostrare, agli altri, la parte più accettabile e meno criticabile. Sono una persona sensibile e le critiche negative non le sopporto proprio. Ho 32 anni e sto cercando di inserirmi in un gruppo di ballo latino americano. Fin dall’inizio ho provato un ceto imbarazzo a rapportarmi con gli altri, loro avevano iniziato il corso qualche tempo prima di me, ed io mi sono sentito in un certo senso solo. Ho provato ad avere un atteggiamento simpatico, ma in tutta sincerità sapevo di fingere, provavo solo tanto imbarazzo. Perché? Io cerco sempre di sforzarmi ad essere simpatico, spiritoso e divertente, ma poi mi accorgo che, nonostante tutto, non risulto così. Ci sono persone, invece, che sanno come accaparrarsi la simpatia degli altri e risultare spontanei, perché, poi, te ne accorgi. Io, invece, faccio tanta fatica, soprattutto quando mi trovo in compagnia di ragazze. Cerco di mostrarmi nel modo che penso mi vogliano, ma fallisco sempre, non mi filano affatto, i miei amici riescono più facilmente di me, eppure non sono poi tanto più belli. Ho tanto da offrire, ad una donna, voglio sposarmi e costruirmi una famiglia, ne sento proprio il bisogno. Come posso fare a mostrare quello che sono, senza preoccuparmi di essere rifiutato? C’è un modo, una formula, a cui rifarsi, per vincere sempre in simpatia?

                                                                                                                          GIORGIO

 

La spontaneità, a volte, può farci paura, perché pensiamo che per piacere agli altri tutto deve essere calcolato e valutato, proprio per non incappare in atteggiamenti sgradevoli. Niente di più sbagliato, perché non possiamo sprecare le nostre energie per mettere a punto un copione da recitare ogni giorno, con il timore di non essere bravi, a recitarlo, e avere la paura che qualcuno prima o poi se ne accorga. Il disagio che si prova è molto forte e il copione lo metterà in evidenza. Allora, cosa bisogna fare? Essere se stessi. Cosa vuol dire essere se stessi ?  vuol dire: accettare, prima di tutto quello che siamo, perché il voler cambiare per gli altri, pensando di non andare bene, significa che non andiamo bene per noi. Se invece lasciamo valutare agli altri, quello che siamo, senza voler  apparire diversi, forse ci accorgeremmo di essere valorizzati e accettati, e se così non fosse, Bhé, sarebbe solo un loro problema. Lo stare male con noi stessi, nel senso di criticarci aspramente o meno, comporta una tensione emotiva interna che va, poi, a riversarsi sui tratti esterni del nostro viso. La tensione muscolare ci fa apparire impacciati e timidi, e la timidezza altro non è che il nascondere agli altri il copione che stiamo recitando con la paura di essere scoperti. Basta fingere quello che non siamo, impariamo ad accettarci e a vivere nella piena spontaneità, è meglio un errore spontaneo che un errore da copione. La spontaneità trasmette emozioni pure, il copione trasmette finzione ed ipocrisia, con l’aggravante di sentirci finti, bugiardi e inadeguati in ogni circostanza, perché creare copioni per ogni circostanza è veramente faticoso! Cominciamo, allora, ad essere coraggiosi, sì, perché ci vuole coraggio per mettere a nudo quello che siamo, però, Giorgio, le posso garantire che superata la prima volta, tutto diventa più semplice e l’orgoglio di essere quello che siamo supera di gran lunga l’immaginazione del copione.

Sono una persona che si sottomette agli altri ma, non me ne sono mai accorta fino a quando me lo ha fatto notare una mia amica. Io dico sempre di sì anche quando vorrei dire di no. Sento una spinta che mi proviene dal di dentro e che mi obbliga ad avere quel comportamento. Sono una ragazza mite e disponibile anche quando non mi va e a volte percepisco dentro di me una forte rabbia che riesco a contenere a fatica ma, ci riesco sempre. E’ come un copione da seguire alla lettera, non so fare altro, ma perché sono così? La mia amica mi dice che è colpa mia se sono così e che mi debbo ribellare e tirare fuori il mio carattere, ma come faccio ad essere diversa se non so cosa mi spinge in questa direzione? Io penso che sia il mio carattere e basta ma, se ci fosse una soluzione cercherei di utilizzarla. Grazie 

                                                                                                                       ELISABETTA

 

Quando nasciamo non siamo noi a decidere chi essere ma, inizialmente, i nostri geni. Poi, interagendo con l’ambiente circostante si  improntano e si definiscono le nostre caratteristiche personali. Nel bambino il genitore può creare dei comportamenti reattivi al modo di interagire con lui e generare, così, degli atteggiamenti di adattamento che poi potranno essere definiti le caratteristiche della persona in crescita. Se un bambino vive con un genitore aggressivo può sviluppare due tipi di atteggiamento: o di sottomissione, perché ha paura e quindi vuole placare la sua ira ubbidendogli e sottomettendosi, o diventare aggressivo, a sua volta, con gli altri. Sembra, purtroppo, che chi decide chi essere siano i nostri genitori che, con le loro esperienze emotive, condizionano e modellano l’andamento della crescita del bambino. Il sottomettersi denota la messa in atto di un meccanismo di difesa, che inizialmente ci aiuta a superare le difficoltà ma che, a lungo andare, diventa un’abitudine di vita dalla quale non sappiamo più come distaccarcene. La sua sottomissione, Elisabetta, denota un atteggiamento di paura nei confronti di una delle due figure genitoriali che ha fatto scattare, in lei, il meccanismo di difesa dal quale non riesce più a venir fuori. Lei non conosce, purtroppo, le sue potenzialità personali perché bloccate dal meccanismo di difesa in atto, che incanalando le sue risorse interiori, crea lo svantaggio di sentirsi chiusa ed incapace di cambiare atteggiamento e migliorare la qualità della sua stessa vita. Ogni giorno, Elisabetta, cominci a dire di no a piccole cose che le vengono  richieste; cominci a decidere chi vuole essere, con la sua volontà può riuscirci. Imparerà che il no non è soltanto una risposta negativa ma, se utilizzato nel modo più opportuno, ed in relazione allo stato emotivo del momento, l’aiuterà ad affermare se stessa e a sentirsi più sicura. A volte è opportuno avere una piccola dose di aggressività nelle relazioni interpersonali che, se gestita con intelligenza e prontezza può renderci consapevoli di come sia importante ed utile gestire la propria vita. Si ricordi i meccanismi di difesa se all’inizio sono utili, poi finiscono per determinare i nostri comportamenti e le nostre abitudini, facendoci diventare quello che non volevamo essere: sottomessi! Reagisca, e cerchi di diventare quello che ha deciso di essere.