GLI ATTACCHI DI PANICO: IL MALE DEL NOSTRO SECOLO, COSA SONO E COME SI CURANO CON IL METODO DELLA “RESET PSICOLOGICO”.

Gli attacchi di panico sono una forma di malessere generalizzata, compaiono all’improvviso e spesso durano dai dieci ai venti minuti. I sintomi più frequenti si riconoscono in uno stato di profonda agitazione, tremore, senso di svenimento, fitte al torace, bocca secca, giramento di testa e perdita del senso della realtà. Il soggetto, in quella situazione, pensa di morire, di avere un’infarto imminente, ma quando sopraggiunge al pronto soccorso, il suo stato è già di molto ridimensionato, lasciandogli per due o tre ore un senso di stordimento e di debolezza generalizzata; spesso viene inviato al medico curante. Dopo questa prima esperienza, il soggetto, comincia ad evitare i luoghi in cui è comparso per la prima volta l’attacco, comincia a restringere il suo raggio di azione per ridurli al minimo indispensabile, evita gli spazi aperti, la macchina e molte volte rischia di perdere anche il lavoro. Subentra, poi, la paura della paura degli attacchi, perché non sapendo quando arriveranno si pone in uno stato di attesa che genera conseguentemente uno stato di ansia cronica, ma cosa provoca questo attacco? E perché si chiama di panico? Molti specialisti sono convinti che si tratti di qualcosa che proviene dal profondo, che si possono ridurre, controllarli, ma non eliminarli definitivamente. Gli stessi psichiatri intervengono con i farmaci per sedare, al momento, la tensione emotiva , ma sono convinti che non sia sufficiente solo la cura farmacologica perché non rimuove la causa profonda, ma la contiene. Gli approcci psicoterapici sono vari: il metodo cognitivo-comportamentale va per la maggiore, ma anche qui possiamo notare miglioramenti dovuti all’apprendimento di metodi di controllo e di accettazione del sintomo. Ci sono varie teorie di approccio terapeutico, ma tutte si fondano sul controllo e sul contenimento del sintomo.

 

L’evento scatenante dell’attacco di paura, apparentemente è improvviso e senza ragione, ma contiene, invece, un ricordo emotivo. Si definisce di panico perché il soggetto vive una paura immotivata, e non vi è ragione alcuna, in quel momento, di fuggire dal luogo che, agli occhi degli altri, non presenta pericolo imminente. La conseguente confusione mentale, proprio perché non se ne comprende la ragione, spinge il soggetto a pensare ad una malattia organica.

 

La dott.ssa Anna De Santis, applica un metodo risolutivo, che pone il soggetto di fronte alla reale causa dell’evento scatenante. Il metodo si chiama , “RESET PSICOLOGICO” così definito perché si arrivano a costruire, come una sorta di puzzle, i punti fondamentali che hanno formato l’attacco, che non sono altro che le esperienze vissute in un certo momento della vita dal soggetto stesso, che possono essere rievocati in qualunque posto che contenga elementi simili a quelli contenuti nel contesto dell’esperienza traumatica. Ad esempio,se una persona vive l’esperienza traumatica di violenza da parte di qualcuno che la minaccia con un coltello, può vivere lo stesso stato emotivo se vede un coltello simile in un contesto per lei significativo, rivivendo così la stessa identica paura, ma incomprensibile, in quel momento, perché il luogo rievocativo non contiene pericoli imminenti. Risalendo, invece, all’episodio traumatico, che il soggetto non deve descrivere, con il “RESET PSICOLOGICO”,si mette il soggetto nella condizione di cancellare le emozioni traumatiche anche mantenendo il ricordo che, ormai scarico emotivamente, diventa innocuo, e si renderà conto di aver risolto il tutto in pochissime sedute, il “RESET” può andare da una o al massimo a cinque incontri, in cui il soggetto può ritenersi guarito. Tale metodo la dott.ssa Anna De Santis lo usa, con successo, anche  in ambito militare per aiutare coloro che partono o che ritornano dalle missioni di pace.

GLI ATTACCHI DI PANICO E GLI ATTACCHI DI ANSIA: RICORDI EMOTIVI DELL’INCONSCIO.

COME ELIMINARLI DEFINITIVAMENTE CON IL METODO DEL “RESET PSICOLOGICO”

 

Si parla tanto di “Attacchi di Panico”. Si definiscono il male del nostro secolo. Le statistiche parlano chiaro, al momento sono più di due milioni gli italiani che soffrono di disturbo denominato DAP (disturbo da attacchi di panico). Tutti pensano che vengano  causati da forti stress, troppe responsabilità che non riescono a gestire, per un lutto o una separazione, ma, invece, vi farò comprendere che non sono quelle le cause. I sintomi in quasi tutti i casi sono gli stessi: senso di soffocamento, capogiri, sudorazione, tremori, dolori al petto, sentirsi estraniati dal proprio corpo o ancora, avere la sensazione che stia per succedere un qualcosa di terribile, sentirsi sul punto di morire. In media un attacco di panico dura dai 2 agli 8 minuti ed è veramente una delle esperienze più stressanti che un individuo possa affrontare: si comincia con un’ansia inspiegabile che a poco a poco aumenta rilasciando l’adrenalina che fa aumentare il battito cardiaco (tachicardia), la respirazione (iperventilazione) e la sudorazione. Succede poi che l’iperventilazione, ossia l’aumento del ritmo della respirazione, attui dei meccanismi come l’abbassamento di anidride carbonica nel sangue e conseguentemente avvertiremo tremolio, vertigini, senso di stordimento, intorpidimento e formicolio. Spiegherò qui di seguito cosa sono realmente e come eliminarli definitivamente, in cinque sedute, con il metodo del “Reset Psicologico” da me ideato e adottato in terapia già da due anni con enorme successo.

Quando parliamo della coscienza “Il ricordo” è sempre associato ad immagini, mentre per l’inconscio i ricordi hanno solo sensazioni fisiche ed emotive. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che gli eventi negativi, che ci capitano durante l’arco della nostra vita, non sempre vengono ricordati attraverso le immagini. Percependoli solo attraverso i sensi, e non sapendone dare un significato razionale,  proviamo paura in un momento in cui tutto va bene, o che tutto intorno a noi è tranquillo, come ad una festa, in un supermercato, in un ristorante, o a casa, per esempio, o mentre stiamo dormendo e ci svegliamo tutti sudati in preda al panico, cosa succede? E perché? Il ricordo razionale ci fa capire che quelle immagini appartengono al passato insieme alle sensazioni che lo accompagnano, mentre il ricordo di sole sensazioni ci fanno provare una realtà diversa, in cui il ricordo diventa il nostro presente, il nostro momento di paura, la cosiddetta  “paura immotivata”. Una signora di circa 45 anni mi scrisse una lettera in cui mi descriveva i suoi attacchi di panico che duravano da circa sette anni. Aveva fatto cure farmacologiche, psicoterapia cognitivo comportamentale, cure omeopatiche, ipnosi regressiva, addirittura era andata, anche, da una “maga”,  ma quei maledetti attacchi, come, lei, li definiva, non ne volevano sapere di andare via. Mi scrisse che un giorno andando al supermercato con sua figlia, durante il tragitto in macchina, cominciò a sentirsi male: giramenti di testa, mancanza di aria, secchezza della bocca, tremore in tutto il corpo, dolore al petto, formicolii e paura di un infarto. I classici sintomi di un attacco di panico. Nonostante tutto arrivarono al supermercato e scendendo dalla macchina cominciò a sentirsi meglio. Però, dopo un po’ che erano in giro, con i carrelli della spesa, le ripresero quei sintomi che la costrinsero ad uscire velocemente dal supermercato. La figlia la riportò a casa, ma durante il tragitto i sintomi aumentarono talmente tanto che passò prima dal pronto soccorso. Una volta a casa cominciò a stare meglio, pensando che l’effetto del tranquillante, datole in ospedale, aveva, finalmente, messo fine a quello stato di malessere generalizzato. Quando venne da me, nel mio studio, mi descrisse nuovamente il suo attacco che affrontammo con il metodo del “RESET PSICOLOGICO” risolvendolo. Non le sembrò vero che dopo tanti anni di sofferenza era, finalmente, libera. Ma, ora, andiamo a capire perché la signora ebbe quell’attacco di panico, in modo da chiarire come nasce un attacco. Circa sette anni prima, si stava preparando, intorno alle cinque del mattino, per andare in campagna a raccogliere i kiwi, quando all’improvviso udì delle urla di donna provenire dalla strada. Lei abitava in una villetta sita in un posto molto isolato, di conseguenza poté udire chiaramente che la donna veniva picchiata duramente da un uomo che le urlava delle parole indescrivibili. Continuò a prepararsi con molta tensione; quelle persone erano a due passi dalla finestra della sua camera da letto al piano terra. Era da sola, perché il marito era fuori per lavoro, e la figlia, sposata, stava a casa sua. Ormai, pronta, doveva uscire per prendere la macchina ed andare a lavorare. Le urla erano finite, ma una volta fuori si accorse che la donna era per terra come morta. Presa da un forte spavento si mise in macchina e scappò via con le gambe che le tremavano ed i piedi che non riuscivano a staccare bene i pedali frizione acceleratore. Cominciò a piangere, ad avere palpitazioni, dolori in tutto il corpo, tensioni al petto e faceva fatica a respirare, tanto che dopo qualche chilometro si fermò perché non ce la faceva più a guidare. Poi si riprese, ma se ne andò a casa della figlia raccontandole l’accaduto. La signora, poi, ritornò a casa sua facendosi accompagnare dalla figlia e, una volta lì, non vi era più traccia dell’accaduto, tranne qualche goccia di sangue sparsa qua e là. Tutto era finito, e col passare dei giorni tutto ritornò alla normalità. Ritornò il marito, le raccontò l’accaduto, ma tutto oramai era passato, praticamente se ne dimenticò. Dopo qualche anno la signora, però, cominciò ad avere gli attacchi di panico, così definiti dal medico, quando andò a farsi visitare. Nonostante la cura, psicofarmacologica, i suoi attacchi continuarono, anche se in forma più lieve. Ma non ne poteva più dei farmaci così provò varie forme di psicoterapia, fino a quando una “Maga”, alla quale si era rivolta, per disperazione, le rubò molti soldi facendole capire indirettamente fino a che punto la sofferenza l’aveva spinta. Il suo primo attacco di panico comparve quando sua figlia, due anni dopo l’accaduto, si comprò una macchina nuova. Il cruscotto era molto bello, e la colpì, soprattutto, il contagiri del motore che assomigliava ad una sveglia. Durante il “Reset psicologico” capì che l’inconscio aveva associato la sveglia, che teneva in camera da letto, con il contagiri della macchina. Cosa vuol dire? Vuol dire che l’inconscio le aveva fatto avere un ricordo attraverso le sensazioni di paura di quella mattina. Il ricordo emotivo negativo, dunque, viene vissuto come un attacco di panico, ma non è altro che il ricordo attraverso l’associazione di quell’evento che, accompagnato da paura come reazione fisiologica, si ripresenta in maniera del tutto inaspettata ed illogica. E , allora, non si può semplicemente soffocare la sensazione disturbante con i farmaci, ma va eliminato il “ricordo emotivo” attraverso quei canali dell’inconscio che contengono i “Frammenti emotivi” responsabili del, cosiddetto, attacco di panico che altro non è che una reazione normale dell’inconscio. Se la figlia non avesse comprato quel tipo di macchina, con il contagiri del motore simile alla sveglia della madre, la signora non avrebbe avuto quel ricordo emotivo. Tutti siamo predisposti agli attacchi di panico, in quanto tutti possiamo avere i ricordi emotivi inconsci più o meno intensi. Anzi molto probabilmente neanche ce ne accorgiamo di averli, in quanto molto leggeri, tanto da percepirli come fastidi o nervosismi incomprensibili. Allora, definire un ricordo inconscio un attacco di panico, è come sentirsi condannati per sempre, perché si pensa che sia quasi impossibile venirne fuori, ma quando si comprende che con il “RESET PSICOLOGICO” , da un minimo di una seduta al massimo cinque, quel ricordo può essere sciolto attraverso la consapevolezza dell’evento passato, scaricandolo emotivamente, e tutto ritorna immediatamente alla normalità, le cose cambiano. La persona avrà dei ricordi consci, circa l’accaduto, senza, però, provare più alcuna sensazione disturbante. Ma una cosa voglio dire a chi non ha, ancora, fatto il “Reset”, in quel momento domandatevi: “quando ho provato queste sensazioni di paura?” La risposta, con vostra grande sorpresa, vi farà avere l’immagine di un evento traumatico che avevate dimenticato. Provateci e vi renderete più consapevoli dei vostri ricordi inconsci. Con questa domanda le emozioni non svaniranno subito, ma vi sentirete più sicuri circa quel malessere incontrollabile.

Quando ci innamoriamo viviamo quel momento come unico ed irripetibile.Non pensiamo e non crediamo che forse un giorno tutto potrebbe cambiare e finire. Facciamo quella scelta senza renderci conto di cosa stia accadendo dentro di noi. Viviamo in funzione di quella decisione d’amore pensando che sia stata la cosa migliore. In effetti in quel momento lo era, ma cosa cambia quando non sentiamo più amore verso quella persona? Cos’è che ci fa innamorare di lui o di lei? Perché nasce quell’attrazione invincibile che ci spinge verso qualcuno, mentre gli altri ci sono indifferenti? E perché continuiamo ad amarlo/a anche dopo essere stati traditi, credendo di non riuscire a vivere senza quella persona? Ma soprattutto, cosa ci spinge a tradire? La lettura delle pagine di questo libero sarà illuminante, e il lettore prenderà consapevolezza di quelle sofferenze d’amore che rendono schiavi e senza via di uscita, per raggiungere definitivamente un rapporto migliore con se stessi e con gli altri.

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Sono ritornata dalle vacanze con la speranza che le cose dentro di me potessero cambiare. Distrarmi, riposarmi, fare lunghe passeggiate non sono servite a niente. Pensavo che quella voglia irrefrenabile di mangiare dipendesse dallo stress e dal lavoro, ma contino a mangiare troppo. Sono aumentata di dieci chili e tutto mi va stretto, non oso andare a comprarmi abiti più larghi perché non accetto tutto questo. Dentro di me, ora, non sento lo stress, non sono così stanca, e la mia famiglia la vivo con serenità, ma allora perché mangio troppo? Quale potrebbe essere la causa? Ho 37 anni e una volta avevo un bel fisico, non che ora sia da buttare, ma i contorni del mio corpo lasciano un po’ a desiderare. Pesavo cinquanta chili ed ora sono sui sessanta. Penso che ormai stia invecchiando e che, forse, questi sono i segni dell’inizio della vecchiaia. Le mie amiche mi vedono in forma, ma sono anni che non oso mettermi in costume, mi vergognerei troppo, scoprirebbero i mille difetti che nascondo abbastanza bene. Se solo riuscissi a mangiare di meno! Da cosa può dipendere visto che non sono, poi, così stressata? Dicono che le tensioni spingono a mangiare per scaricare l’ansia, ma nel mio caso? Le sarei molto grata se mi  potesse aiutare a capire questa situazione, e se c’è un rimedio a questo.

                                                                                                                                 RENZA

 

Mangiare è un bisogno primario. E’ l’istinto di sopravvivenza. E’ l’aspetto più significativo della vita. A volte, però, non è dettato dalla necessità di sopravvivenza, ma da abitudini sbagliate; oppure, è legato alla socializzazione, alle ricorrenze e alle festività. In quel caso, però, non va a soddisfare solo quell’istinto primario, ma va a consolidare le basi di una comunità civilizzata che, portando al suo interno una diversa espressione del cibo, va a creare nella mente umana significati diversi a seconda delle culture di appartenenza. Nel suo caso, signora Renza, il cibo può rappresentare semplicemente una abitudine ad ingerirne una certa quantità. Cerchi ogni giorno di diminuirne un po’, e abitui il suo stomaco ad altre dosi, e cerchi, di dargli altri input, scandendo degli orari ben precisi per creare nuove abitudine. Mangiare in continuazione per passare il tempo, può creare degli atteggiamenti involontari, di cui ce ne rendiamo conto solo dopo aver messo su alcuni chili. Tornare indietro non è poi così complicato. All’inizio dobbiamo creare abitudini contrarie con la volontà, fino a quando il tutto non rientra in una certa forma di automatismo. Il controllo del cibo può rappresentare il raggiungimento del suo obiettivo, visto che non ci sono stress da affrontare, ma abitudini da cambiare, senza escludere, se non ci riuscisse, una certa quantità di tensione legata al significato che lei gli può dare. Spesso, il cibo, rappresenta un premio, una coccola, un riempire un vuoto; va benissimo tutto questo, l’importante che non diventi l’unico premio o l’unica coccola, o l’unico modo per riempire certi vuoti. Se così fosse, allora dovrebbe domandarsi se chi le sta intorno le dedica la giusta attenzione e il giusto “nutrimento affettivo” di cui noi tutti non possiamo farne a meno. Nutrire affettivamente significa dare baci, abbracci, coccole e dire: Ti voglio bene, mentre  guardiamo la persona negli occhi come se fosse la prima volta, mi creda, proverà un’emozione molto appagante. Il tutto va fatto senza pretendere nulla in cambio, altrimenti ci becchiamo lo stress. Provi a dare nutrimento affettivo, perché non passerà molto tempo che anche gli altri glielo daranno, e quel minimo necessario le basterà per riuscire ad incanalare nuove abitudini alimentari.

Si parla di bullismo in continuazione, ma le soluzioni a questo problema non riescono a trovarle. Ho un bambino di 11 anni e quest’anno andrà in prima media. Lui è un bambino riservato, timido, ma con tanta voglia di sentirsi accettato dagli altri. Nella sua classe, l’anno scorso, è stato vittima di queste prepotenze, ma tutto sommato era qualcosa di molto circoscritto, le insegnanti erano riuscite a contenere questo disagio scolastico con interventi alle rispettive famiglie degli alunni, diciamo, così indisciplinati. Quest’anno ho paura per mio figlio perché in quella classe potrebbe incontrare ragazzi più grandi di lui, e avere disagi peggiori. La mia speranza è quella che vada in una classe “buona”, che non prendano il sopravvento su di lui, perché ha quel carattere un po’ chiuso, ma non per questo deve essere soggiogato o preso in giro. Perché queste persone, se così si possono chiamare, hanno di questi atteggiamenti aggressivi? Una volta sentii in tv che alcuni ragazzi avevano cercato di ammazzare di botte un loro compagno di classe se non gli avesse consegnato tutti i giorni la paghetta che il padre gli dava. Questi comportamenti di “prepotenza” che significato hanno? Perché questi ragazzi sono così cattivi? In alcune immagini viste in tv ho notato con quanta rabbia e aggressività fanno del male a chi credono più deboli di loro, in quel momento mi sale su tanta voglia di giustizia e di punizione verso quegli esseri indegni! La prego, dottoressa, mi dica cosa posso fare per aiutare mio figlio a difendersi da quelle persone. La ringrazio infinitamente.

 

                                                                                                                                          TINA

 

Il termine bullismo non ha ancora una definizione tecnica, giuridica e sociologica, ma è usato per indicare comportamenti violenti, vessatori e persecutori nei confronti dei cosiddetti deboli. Il termine deriva dall’inglese Bullying. In Scandinavia, dove hanno avuto inizio le primissime ricerche negli anni ’70, si usa il termine Mobbing. Qui in Italia, ci si riferisce, con mobbing, ai fenomeni di prevaricazione  verbale e psicologica, interni all’ambiente di lavoro e sarebbe, in un certo modo, una sorta di bullismo tra adulti. Nel bullismo l’atteggiamento dei genitori è decisivo, specialmente nell’infanzia, dove si creano i presupposti per i bulli adolescenti. Il bambino, all’interno della famiglia, deve imparare a gestire i sentimenti di rabbia e di ostilità, rapportandoli a se stesso in modo da non arrivare alla negazione dei problemi. Fin dalla prima infanzia si possono cogliere i primi segni di disagio che possono essere tradotti, poi, in prepotenza e aggressività. Ciò che il bambino, e poi l’adolescente, non riesce ad esprimere in casa lo riversa all’esterno sotto forma di arroganza e violenza, che non fanno altro che sottolineare la sua insicurezza e incapacità a reagire di fronte agli “insulti” ricevuti da parte dei suoi stessi genitori quando, puntandogli il dito contro, gli dicevano: tu non vai bene, devi cambiare, sei un buono a nulla, gli altri sono migliori di te, ecc. Questo, non fa altro che peggiorare il quadro di incertezza sulle proprie capacità e potenzialità costruttive. Nella mente di un bambino tutto ciò che proviene da un genitore e verità assoluta! Il bullo, quell’essere insicuro e sottomesso nella famiglia, cerca di guadagnarsi agli occhi degli “spettatori” quella specie di valorizzazione e accettazione attraverso la forza fisica: aggressione e prevaricazione, o attraverso l’attacco psicologico: esclusione di qualcuno dal gruppo, o attraverso atteggiamenti verbali sgradevoli: brutte parole, insulti e calunnie. Tutto questo, però, può essere messo in atto da parte del bambino e poi dall’adolescente, solo perché lui stesso è stato vessato e svalorizzato all’interno della sua famiglia. La reazione da “bullo” è una sorta di rivincita esterna, un modo di proiettare sull’altro le sue debolezze e incertezze, che vanno a sollecitare, poi, le sue ansie e paure spingendolo ad aggredire quel soggetto che gli fa vivere la sensazione di eliminare ciò gli sta dando fastidio. E’ difficile debellare il bullo, perché il bullo è il sintomo della famiglia. Non ne abbiano a male quei genitori che in questo modo si sentano presi in causa, perché dovrebbero fermarsi a pensare e a fare qualcosa per loro. Questo non è un problema dei figli, ma soprattutto dei genitori che, involontariamente, commettono degli errori. Signora Tina, il problema va affrontato all’interno della sua famiglia, si domandi perché suo figlio è timido e introverso, probabilmente non ha mai avuto l’occasione di poter esprime se stesso in maniera spontanea e senza la paura di sentirsi giudicato negativamente. Accetti suo figlio con amore, perché, come lei ha detto, ha tanta voglia di farsi accettare, e gli rinforzi la sua autostima stimandolo e valorizzandolo, la forza che ne deriverà farà sì che il bullo, non proiettando più su di lui i suoi stessi problemi, non lo considererà più idoneo al tentativo di liberarsi dalle sue stesse sofferenze interiori.

Ho letto un libro molto interessante, ma allo stesso tempo assurdo. Si descrive della nostra capacità a realizzare le cose grazie alla forza del nostro pensiero. Tutti possediamo queste capacità, solo che non le sappiamo utilizzare perché inconsapevoli. Questo libro spiega come fare a realizzare i nostri sogni e ad essere felici. Io credo che sia una specie di pubblicità ingannevole, ti fanno credere a qualcosa che non esiste. Mi piacerebbe che fosse vero per riuscire ad essere felice e realizzato. Il tutto, però, credo che sia solo una presa in giro. C’è scritto che basta pensare con molta intensità a quello che vogliamo e questo si realizza. Mi vergogno a dirlo, ma l’ho fatto; risultato? Non è successo nulla. Volevo una macchina decente per muovermi più tranquillo, ma nulla di tutto questo è accaduto. Mi sento un po’ ridicolo a scriverle di questo libro, perché a 45 anni non si può ancora credere alle favole! Sono un commesso, e mi spacco la schiena per guadagnare una somma appena sufficiente al fabbisogno della mia famiglia. Questo libro mi è sembrato una speranza, quando ho letto la copertina e  ciò che prometteva nel leggerlo, forse, era rivolto agli imbecilli come me. Forse, in ognuno di noi rimane quel bambino che crede alla magia come ad una specie di soluzione immediata ai propri problemi, ma mi sono accorto che la realtà è ben altra. Non c’è nulla di male se a volte ci lasciamo andare a queste cose, ma mi può spiegare perché certa gente volontariamente scrive cose assurde?

                                                                                                                            VITTORIO

 

Credo che non abbia letto bene il messaggio di quel libro. Non è semplice accettare che gli artefici della nostra vita siamo noi. Siamo abituati a proiettare fuori da noi tutto ciò che non ci piace o che ci fa soffrire, per appiccicare la colpa addosso a qualcuno. Prendersi la responsabilità delle proprie azioni non è esattamente quello che vogliamo, soprattutto quando ci insinuano il dubbio che il nostro benessere lo possiamo costruire così come stiamo già costruendo il malessere. Attribuiamo i cattivi eventi a forze maligne, mentre di quelli buoni ci prendiamo tutti i meriti. Riflettiamo su questo e cominciamo a ragionare: il nostro cervello produce elettricità, altrimenti non si potrebbe fare l’elettroencefalogramma, se questo è vero l’elettricità produce una forma di magnetismo che a sua volta produce una carica attrattiva. Il pensiero è costruito dal cervello attraverso le immagini immagazzinate, che a loro volta hanno bisogno di energia per essere prodotte, una volta innescato  il meccanismo tutto procede in automatismo e non ce ne accorgiamo più. Non ci accorgiamo se i nostri pensieri in un dato momento possono portarci benefici o no. Se, per esempio, diciamo che una determinata macchina non ce la possiamo permettere, succede che il nostro cervello non costruisce quella immagine, e tutto ciò che non appare come immagine, nella nostra mente, non esiste. Se ora dico Luna, la immaginate, ma prima questa immagine non l’avevate e quindi non esisteva la Luna in quel momento per voi. Certo, al di fuori, la luna continua ad esistere che la pensiate o no, come continua ad esistere la macchina  che la pensiate o no, con la differenza che la macchina se pensata, e quindi esistente, la posso attrarre a me. Si ricorda, Vittorio? L’elettricità del cervello produce magnetismo. Non ci sono magie, non sono cose assurde, sono tali se non le capiamo, se ci mancano gli strumenti per assemblare quel tipo di pensiero produttore di cose positive. Il libro, da lei letto, tenta di far trovare, dentro di lei, quegli strumenti che già possiede ma che non riesce proprio ad utilizzare. Lo rilegga con più attenzione, si accorgerà che il potere che possiede la sua mente non è fantascienza, ma scienza!

Avrei voluto avere, tanto, una famiglia tutta mia. Da quando mi sono sposata, per me, la vita è stata un inferno. Lui è un uomo cattivo, aggressivo, violento. Prima del matrimonio aveva alcuni atteggiamenti un po’ sospetti, ma mai avrei immaginato che arrivasse ad alzarmi le mani. Alcuni anni fa sono rimasta incinta, ma è stato un momento bruttissimo, perché, lui, non ha fatto altro che alzarmi le mani, perché non voleva il bambino, e dopo qualche mese, a causa sua, ho avuto un aborto spontaneo. Povero bimbo mio, a causa sua, non ha mai potuto conoscere la sua mamma! Odio quell’uomo, ma allo stesso tempo mi fa pena, ma quella pena che si può avere per quelle persone malate di mente; perché, penso che lui abbia, proprio, dei grossi problemi mentali. Io, gli ho sempre detto che se continuava così l’avrei lasciato, ma ho fatto anche di più, l’ho denunciato alla polizia quando ha tentato per l’ennesima volta di umiliarmi e di maltrattarmi con aggressioni sulla mia persona. Da quel giorno ha capito che non scherzavo e che faceva bene a starsene fermo con le mani, e che le problematiche con sua madre le avrebbe dovute scaricare addosso a qualcun’altra, o forse proprio su di lei come già alcune volte aveva fatto. Sì, ho assistito una volta ad loro furioso litigio in cui lui le diede un calcio sul sedere con molta violenza. Al solo pensiero rabbrividisco. Ora, per me, rimane, comunque, l’assassino di mio figlio, quel figlio che tanto avevo desiderato, e che purtroppo ha pagato con la vita l’egoismo infantile del padre. Ora, che non vivo più con lui, mi sento serena, ma quei momenti rimangono scolpiti nella mia mente, e quando a volte ci ripenso mi consolo pensando a quel bambino mai nato che da lassù proteggerà sempre la sua mamma da quell’essere infelice che purtroppo era suo padre. Vorrei avere una spiegazione, se è possibile, cosa può spingere un essere umano a tanto odio e aggressività?

                                                                                                                             VALERIA

 

Le persone violente, spesso, si nascondo dietro un’immagine di perbenismo. E’ un meccanismo di difesa quello di apparire per ciò che non si è. Queste persone sono coscienti del loro comportamento negativo, ma non possono farne a meno. Nascondono, anche, una sorta di invidia verso coloro che appaiono sereni e appagati nonostante le difficoltà della vita. Sono dei perdenti, e scaricano la loro rabbia verso chi credono più deboli e indifesi.  Quell’uomo, che purtroppo ha sposato, le ha fatto certamente del male, ma, mi creda, il male lo ha fatto soprattutto a se stesso, perché quell’atteggiamento di rabbia e di frustrazione se lo porta dentro lui, che certamente non gli darà pace. Sono persone che farebbero bene a starsene da soli, senza appiccicare addosso agli altri i loro problemi. I problemi che avrà avuto, e che ancor oggi ha con la madre, lo spingono ad aggredire e a svalorizzare chi lo circonda, perché questo atteggiamento lo ha con tutti, fingendo in alcune occasioni la parte della vittima. Spesso sono capaci di coinvolgere persone, per sostenere il loro atteggiamento di vittimismo, sono abili manipolatori, così come possono fare i bambini, e questo è sinonimo di immaturità. L’aver sperato di creare una famiglia, con quell’uomo, le ha provocato una grande delusione, ma non perda mai la speranza di creare quello che ha tentato di fare con lui, perché di uomini buoni e generosi ce ne sono davvero tanti. La pena che prova verso di lui la lasci da parte, ma cerchi di far valere i suoi diritti. A volte le persone aggressive, sono molte egoiste perché si portano dentro una grande insoddisfazione di fondo che gli deriva, in questo caso, dal forte conflitto con l’immagine materna, castrante e schiacciante allo stesso tempo, si sentono incapaci e svalorizzati, ed è per questo, poi, che vogliono sminuire l’immagine della donna, quasi come una sorta di rivincita. Purtroppo, i genitori possono creare grossi problemi psicologici nei figli, ma con questo non dico che debbano essere condannati, perché significa che anche loro sono carichi di problemi non risolti che riversano, poi, su di loro. Ora, non pensi più a quell’uomo, e così come ha detto, ha il suo piccolo angelo custode che la conforta, e che l’aiuterà  a realizzare il sogno di avere una famiglia tutta sua.

Cosa ci spinge verso una persona, e cosa ci fa allontanare? Sono molto curiosa di sapere perché esiste l’empatia o l’antipatia verso qualcuno. L’ho sentito per caso in una TV privata, ma non ho ben capito il concetto. Sono una ragazza di 35 anni e fino ad oggi non sono ancora riuscita a trovare l’anima gemella. Anche dire così, trovare l’anima gemella, in che cosa consiste? Perché siamo spinti a cercare persone che ci somigliano? Io, invece, vorrei trovare qualcuno che sia l’opposto di me. Penso che in questo modo, forse, potrei provare sensazioni forti e stimolanti. Io sono molto lenta e pigra e se ci fosse qualcuno a scuotermi, ne trarrei sicuramente un vantaggio. La mia amica del cuore si è già accasata, lei, si è accontentata del primo che le è capitato, mentre io vorrei che mi capitasse una storia davvero importante. Lei mi dice che se continuo a pensarla così rimarrò zitella. Ma, poi, perché questa parola viene vissuta, da chi la subisce, come una sorta di svalorizzazione? A volte ho litigato di brutto, perché la vivo come un insulto; è come se mi dicessero che nessuno mi ha voluta e che oramai è troppo tardi per rimediare. Lei, Dottoressa, pensa che sia questo il significato? Le sarei molto grata se mi aiutasse a capire.

                                                                                                                       FERNANDA

 

Spesso quando ci rapportiamo con gli altri andiamo alla ricerca di qualche nostra caratteristica: la sincerità o la spigliatezza, l’introversione o l’estroversione; oppure di qualcosa che abbiamo, ma che non riusciamo ad esternare; come, ad esempio, prendere iniziative stravaganti o fuori dal comune, noi non ci riusciamo e le viviamo attraverso il comportamento dell’altro. I trascinatori di massa sono un classico esempio di quanto la maggior parte della gente voglia dipendere e godere della riuscita dei pensieri e iniziative comuni. Si diventa leader, quando il soggetto riesce a penetrare nella mente degli altri che è già predisposta a questo richiamo. Essere attratti da un uomo o da una donna, può dipendere dal fatto che ella od egli, contengano un nostro desiderio più nascosto,  che va a suscitare, in noi, un irresistibile richiamo.  Ci si può innamorare di persone brutte, perché in esse si va a consumare un certo desiderio di “superiorità” verso l’esterno, ma sentire antipatia verso qualcuno, non è altro che un riconoscere alcune caratteristiche che ci appartengono e che non ci piacciono. Sono le stesse nostre caratteristiche che rifiutiamo e che non vogliamo riconoscere, e quindi non ci resta altro che allontanare da noi quella persona, con l’illusione di allontanare da noi quelle caratteristiche. Con l’empatia, invece, riconosciamo nell’altra persona alcune caratteristiche che ci appartengono e che ci piacciono, di conseguenza empatiziamo, ci mettiamo mentalmente al suo posto, cercando di avvicinarla e di aiutarla; è come se aiutassimo noi stessi. Diamo soddisfazione ad un nostro bisogno. Dire zitella o single, non sono la stessa cosa, perché la zitella rappresenta uno stile di vita totalmente diverso dalla single. La zitella non cerca alcun tipo di  rapporto con l’altro sesso, vive da sola perché soffoca ogni suo bisogno e, in alcuni casi, però, questo atteggiamento può sfociare in una vera e propria patologia, in fondo si tratta di un meccanismo di difesa! La single, invece, è una persona predisposta all’approccio con l’altro sesso e lo ricerca attivamente, non cerca il matrimonio a tutti i costi, ma sa aspettare; ed anche se non riesce nel  suo intento, comunque, vive la sua vita sia dal punto di vista sentimentale che da quello sessuale. Quindi, cara Fernanda, stia tranquilla a volte le amiche non sanno quello che dicono!

Vorrei una formula per risolvere i problemi. Detto così potrebbe sembrare una richiesta assurda, ma è proprio quello che sto cercando di fare da quando qualcuno mi ha detto che a tutto c’è rimedio tranne che alla morte. Io, avrei molti problemi da proporle, ma come lei ha scritto in un precedente articolo: non serve che si dica all’altro cosa fare, per quel problema, ma che egli stesso impari un modo per affrontare qualsiasi problema. Vorrei acquisire la capacità di risolvere i miei problemi da solo senza l’aiuto di nessuno, anche perché  prima o poi te lo rinfacciano. Le sarei molto grato se potesse aiutarmi in questo. Ho 39 anni e tanta voglia di vivere, ma a volte mi sento schiacciato dall’assurdo pensiero che i miei problemi siano irrisolvibili. La ringrazio con fiducia.

 

                                                                                                                              ACHILLE

 

Non esiste una formula per risolvere i problemi, ma con questo non voglio dirle che non esista un  metodo adattabile ad ogni problema. Dove c’è un problema esiste sempre una soluzione, basta solo seguire alla lettera quello che sto per consigliarle. Innanzitutto, per risolvere un problema bisogna riconoscerlo come tale. Intendo dire che a volte percepiamo i disagi del problema, ma non riusciamo ad individuarne le cause stesse solo perché ci può apparire faticosa la sua risoluzione o perché pensiamo che non esistano rimedi, per il semplice fatto che rimaniamo legati alla logica formale del nostro pensiero. Per risolvere un problema dobbiamo innanzitutto accettarlo come tale senza fuggire da esso, questo ci può permettere una sua analisi più profonda, individuando, così,  gli aspetti meno evidenti  che ci possono portare alla sua risoluzione. Quindi: focalizzi il problema, individui le cause, ma soprattutto non lo consideri simile agli altri, altrimenti si innesca la tendenza a ripetere in modo rigido e automatico gli stessi atteggiamenti non risolutivi. Ogni problema è a se stante, in quanto presenta ogni volta delle sfaccettature diverse perché nasce  in contesti diversi. E’ quasi come giocare a scacchi, cerchi di capire a fondo come “funzionano” le cose nel problema e cerchi di prevedere che cosa potrebbe accadere in seguito ad una determinata “mossa” che a suo giudizio potrebbe essere risolutiva. Cosa essenziale è vivere tutto questo con spirito competitivo, cercando di credere in ciò che si sta facendo e mettendo alla prova le idee risolutive, altrimenti non si potrà mai sapere se sono valide. Certo, c’è sempre un margine di rischio in tutto ciò che facciamo nella nostra vita, ma se così non fosse che vita sarebbe?

Si sente spesso parlare della felicità come a qualcosa di irraggiungibile, ma sarà vero? Forse già l’abbiamo e non ce ne accorgiamo. Allora leggete attentamente e riflettete con calma….

Tutti rincorriamo la felicità. I soldi sono al primo posto. Belle vacanze, viaggi interminabili, una bella macchina, una splendida casa, e già, sono grandi soddisfazioni! Si rincorre il denaro per una vita intera. Si vanno ad ascoltare quelle persone, pagando, che ti dicono come si fanno i soldi e che ti promettono la felicità che cercavi. Ma come si può essere così ingenui: per far soldi, ti dicono che prima li devi dare tu a loro, e poi? Poi, quei pochi che avevi non sono serviti a darti quello per cui gli hai spesi, rimani come prima, cioè, no, come prima no, perché ti sei “alleggerito” comprando un’illusione. E’ vero, i soldi sono la felicità! Ma allora perché tante persone con tanti soldi soffrono? Si uccidono? O si riducono in miseria? Cosa succede, allora, nella nostra mente? Viviamo nella nostra mente e non ce ne accorgiamo, e pensando di percepire la realtà reagiamo a quello in cui noi crediamo. Se crediamo in cose buone concretizzeremo il buono, altrimenti costruiremo solo cose negative anche se non le vogliamo. Chi promette di far cambiare indirizzo alla tua mente, non sa che la mente è governata dalle emozioni che ti porti dentro. Dunque è meglio, prima, fare una bella ripulitina, da quelle emozioni che ti fanno avere sempre gli stessi comportamenti davanti ad una situazione, facendoti rimanere incastrato, deluso ed arrabbiato. Pur avendo molti soldi, una bella casa, un’auto, possiamo rimanere insoddisfatti, esempio ne è il figlio di Agnelli che si suicidò anni fa. Tutti sappiamo che non gli mancava nulla dal punto di vista economico, ma, allora, perché l’ha fatto? Sono certa che avete già dato la risposta. Gli affetti non si comprano… I genitori sono fondamentali, per la vita di un bambino, dal punto di vista affettivo, essi rappresentano il massimo valore a cui rimaniamo legati per sempre. Sì, sembrerà assurdo, ma rimaniamo legati ai genitori per sempre. Ed ogni volta che li incontriamo, da adulti, il nostro comportamento diventa, affettivamente parlando, quello del bambino che eravamo tanti anni fa. E’ automatico, tanto che neanche ce ne accorgiamo. Dunque, mi sembra di intravedere, che la vera felicità è quella di sentirsi amati, ben voluti, rispettati e ricercati affettivamente. Dunque, possiamo dire che la vera felicità sia quella. Beh, credo che quella vera vera, sia l’unione delle due cose. Purtroppo è molto difficile che capiti, allora? Cosa scegliere? E non crediate che sia più facile raggiungere gli affetti dei soldi, perché, se ci pensate bene, è vero l’incontrario. Quindi dosiamo bene le cose: un po’ d’amore e un po’ di soldi, ben mescolati ed in giusta quantità, forse fanno la felicità. L’ingrediente da non dimenticare mai, però, è l’unione e la condivisione delle emozioni. Buona felicità a tutti!